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Le falsificazioni della Storia: da Umberto Eco a Lorenzo Valla

Si trova in libreria il nuovo romanzo di Umberto Eco Il cimitero di Praga. Impossibile non notarlo. Come sempre, il maestro, accademico e semiologo, gioca con la storia, costruisce verità e demonizza i dogmi. Ci fa da guida, come novello Descartes (Cogito, ergo sum) nell’infernale viaggio di come,  alla mente umana, attraverso la parola e lo scritto, tutto sia possibile, anche invertire la realtà. Quindi, l’autore si lancia nella ricostruzione di un famoso falso, i tanto discussi “Protocolli degli Anziani di Sion  o dei Savi di Sion”. Documenti artatamente costruiti nel 1800 e  strumentalizzati dagli ambienti antisionisti (nazismo in particolare), accaniti paladini della fantomatica “cospirazione ebraica”.  

     Sono parecchi i falsi documenti, confezionati dalla mano dell’uomo, sparsi per tutta la lunga storia dell’umanità e che sono stati, direttamente o indirettamente, causa e insieme giustificazioni di eccidi, guerre e complotti. 

    Alcuni hanno riguardato la Sicilia, come la Donazione di Costantino I (donatione Costantini) del 313, utilizzata per tutto il medioevo dai Pontefici di Roma per vantare il loro diritto fondiario su tutta la Sicilia, causando guerre e lotte sanguinose che toccarono la terra di Sicilia. Con la riconquista Normanna  (1061-1091), il papato cercò di suggestionare  Ruggero, il Gran Conte, imponendogli una certa dipendenza da Roma. Ma fu il figlio del normanno, Ruggero II, fondando il Regno di Sicilia, a dare inizio alla lunga sequela di scomuniche ed interdetti, lanciati dai pontefici sulle teste dei Siciliani. Non solo. Lo stato della Chiesa, dopo la parentesi imperiale di Federico II, scatenò l’intervento Franco-Angioino sull’isola, partecipando con armi e con finanziamenti alle varie coalizioni che cercarono di far rispettare il diritto dei Pontefici di concedere in vassallaggio la Sicilia solo a chi fosse loro gradito, contro la stessa volontà del popolo e della gran parte dei feudatari siciliani che reagirono, dapprima aspramente con la rivolta dei Vespri e, successivamente, con un sanguinoso conflitto bellico che durò, tra massacri e distruzioni, oltre  quarant’anni. Fu l’umanista Lorenzo Valla, segretario e consigliere di Alfonso di Aragona, che nel 1440 per rispondere all’ennesima pretesa del Pontefice sul Regno di Sicilia e Napoli, contestò l'autenticità della Donazione di Costantino stabilendo con prove incontrovertibili che si trattava di un apocrifo, ponendo così fine alla disputa con la Chiesa di Roma.

     Come non ricordare l’invenzione di un Codice arabo che nel 1783, a Palermo, l’Abate don Giuseppe Vella confezionò  per ingraziarsi la “Real Maestà” di Napoli  e indusse Monsignor Airoldi, storico erudito di chiara fama tra i suoi contemporanei (sino ad allora), a scrivere una monumentale Storia, il Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli Arabi, basata per la gran parte su notizie false ed inventate dal Vella. L'episodio è ben noto perché magistralmente raccontato da Leonardo Sciascia nel suo Consiglio d'Egitto, edito nel 1963.

    Le falsificazioni riguardarono anche Messina, dove la creazione di alcuni documenti apocrifi, aggiunti a quelli realmente concessi dai vari sovrani, servirono alla città per accampare privilegi economici e deroghe alle leggi in vigore nell’ambito di una sfrenata lotta diplomatica ed economica, ingaggiata con Palermo, alla quale, la città dello Stretto contendeva il primato nel Regno. Uno fra questi è l’episodio dell’origine dell’attuale stemma di Messina, la croce d’oro in campo rosso: simbolo imperiale di Bisanzio. Il documento apocrifo, forse redatto a Messina nel 1200, parlava di un intervento dell’esercito messinese inviato, nel 407 d.C., in Grecia, a Tessalonica, dove l’Imperatore Arcadio era stretto d’assedio dai nemici. L’intervento messinese riuscì a spezzare l’assedio salvando l’imperatore. Costui, grato per l’aiuto, concesse a Messina di fregiarsi delle insegne imperiali: il vessillo cruciforme. A sua volta, Messina, per contraccambiare l’apporto in uomini ed armi di Rometta, donò a quest’ultima il proprio simbolo, le tre torri o castello Matagrifoni, ancora oggi effige ufficiale del Comune di Rometta.

 

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