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Archeologia subacquea a Villafranca Tirrena (Me): la navigazione antica nell’area dello stretto ed i relitti di Capo Rasocolmo

Al castello di Bauso (Villafranca Tirrena) rimarrà aperta sino al 31 ottobre 2015 la mostra dei reperti rinvenuti dai subacquei nelle acque di Acqualadroni: dalla lamina in bronzo appartenuta ad uno schiavo della famiglia di Pompeo Magno alle ghiande di piombo, micidiali proiettili dell’antichità, dalle monete di Sesto Pompeo ai ganci in bronzo del relitto di una nave impegnata nella battaglia di Nauloco del 36 a.C. ed affondata a causa di un incendio.

 

23 Aprile 2015 - Domenica scorsa si è conclusa la settimana della cultura a Villafranca Tirrena, una kermesse di iniziative culturali, dal teatro al libro, dalle canzoni popolari alle mostre di Pittura.  Il Castello-Palazzo di Bauso, nucleo originario intorno al quale si è sviluppata nei secoli la moderna Villafranca Tirrena, ha ospitato per l’occasione alcuni reperti archeologici recuperati nelle acque di Messina. Una finestra importante, la mostra “Un mare di beni Culturali” inaugurata mercoledì 12 aprile ed organizzata dalla Soprintendenza BB.CC. dello Stretto, unità operativa 5, dal Comune di Villafranca e dall’ottima Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia.

      In una stanza del maniero cinquecentesco che fu austera residenza dei nobili Cottone e che oggi domina da vicino su un tratto del viadotto autostradale dell’A20 Messina-Palermo senza perdere per questo il suo aristocratico fascino di residenza blasonata d’altri tempi, sono stati esposti alcuni degli oggetti archeologici, per lo più metallici, scampati all’erosione del mare e provenienti dai ritrovamenti dei depositi individuati nei fondali di Acqualadroni presso Messina. Infatti, tra il 1991 e il 2011 nello specchio d’acqua prospiciente Capo Rasocolmo vengono delimitati diversi micro-siti contenenti numeroso materiale appartenente a relitti di navi antiche naufragate a poca distanza dalla costa. Fanno bella mostra i reperti recuperati nell’area indicata del “relitto A” o “relitto Fieschi”, quali le dieci  gallocce in bronzo a forma di palmipede utilizzate per fermare le corde della vela e fissate su alcune sbarre di legno per ricreare la posizione originale.


Gallocce o ganci in bronzo del “relitto A”

 

        Dal testo dei pannelli espositivi, curati dagli archeologi della Soprintendenza, ricaviamo il rinvenimento, sempre nel sito del “relitto A”, di 51 monete in bronzo e in argento, in massima parte databili tra il 43 e il 36 a.C., alcune delle quali appartengono al conio di Sesto Pompeo che in quegli anni occupava militarmente la Sicilia in pieno dissidio contro il secondo triumvirato, composto da Ottaviano, Antonio e Lepido. Su queste si basa l’assegnazione del relitto ad una nave appartenente alla flotta da guerra pompeiana. Interessante si è dimostrato il recupero di 15 proiettili in piombo, ghiande missili, ossia proiettili di piombo (glandes plumbeae) sicuramente appartenenti ad un fromboliere (funditor), lanciatore di proiettili con la “frombola” o fionda (funda) imbarcato sulla nave da guerra.

          Un fromboliere in uno statere (370-330 a.C.)                   Disegno sull’uso della funda da parte del fromboliere

 

       Il fromboliere era un legionario armato alla leggera, addetto al lancio ravvicinato di proiettili in metallo che venivano  scagliati contro i nemici con un’arma semplice ma micidiale: una striscia di cuoio o anche una corda di canapa, larga al centro dove si metteva il proiettile e stretta alle due estremità. Queste ultime venivano strette dalla mano del legionario che iniziava a far roteare, in alto sopra la testa o al fianco sottomano, la coreggia e, una volta raggiunta la velocità desiderata,  una delle due estremità veniva liberata e il proiettile schizzava veloce in direzione dell’obiettivo. La portata del tiro era mediamente sui 100-150 metri e l’impatto era più devastante quanto più vicino fosse l’obbiettivo: i proiettili potevano uccidere o produrre danni considerevoli anche se protetti da elmo o corazza.  Fra i resti riportati in superficie dal relitto diverse macine in pietra lavica che probabilmente, secondo i tecnici della Soprintendenza, fungevano da zavorra e un lingotto in piombo con iscrizione oltre ad una piccola lamina di bronzo, preziosa per l’iscrizione riportante: CNP MAGNVS (Cnaeus Pompeius Magnus). Il titolo di Magnus era il cognome utilizzato dai discendenti del grande Pompeo, tra i quali i figli, Gneo il Giovane e Sesto, in ricordo delle gesta e virtù militari del capostipite.  La lamina era parte di un collare portato dagli schiavi sulla quale veniva inciso il nome del padrone, nel nostro caso, Gneo. Che la lamina si trovasse a bordo della nostra nave anni dopo la morte del proprietario dello schiavo, avvenuta nella battaglia di Munda del 45 a.C., può essere spiegato con l’automatico passaggio di tutti i beni al fratello, Sesto, unico erede dei Pompeii ancora in vita nel 36 a.C.

Lamina di bronzo del collare con iscrizione e sulla sinistra le ghiande missili

 

      Quasi una superstar fa bella mostra, sulla parete frontale, la foto del famoso “Rostro” in bronzo recuperato nel 2008 sempre negli stessi fondali di capo Rasocolmo e oggi in restauro a Pisa. L’eccezionalità del reperto messinese, montato su una nave da guerra romana, è dovuta alla presenza di frammenti lignei, assenti nella gran parte di altri rostri ritrovati sino ad oggi. Ciò ha permesso di sottoporre i resti del fasciame alla datazione del radio carbonio (C14),  che ha spostato indietro nel tempo le prime ipotesi, effettuate al momento della scoperta nei fondali, che attribuivano agli anni intorno al 36 a.C., periodo della guerra civile tra Ottaviano e Sesto Pompeo, l’affondamento della nave alla quale apparteneva il nostro rostro.

Recupero del Rostro di Acqualadroni nel 2008

 

       Infatti, dalle analisi al C14 il legno è stato datato tra il 360 e il 190 a.C. e forse appartenente ad una nave romana impegnata nella battaglia di Milazzo del marzo del 260 a.C. oppure in altre operazioni di guerra contro Cartagine tra il 264 e il 202 a.C.. Comunque sia, il reperto navale e i tanti altri beni archeologici, di grande valore storico di Messina, oggi chiusi nei depositi, attendono di essere ammirati e studiati.

Giardino da poco restaurato del castello

Per adesso visitiamo gli eccezionali reperti custoditi tra le mura del Castello di Bauso, dove oltre alle antichità romane potremo vedere le altre parti del palazzo nobiliare, magari sentire in lontananza i suoni di un ballo organizzato dal Conte di Castelnuovo nell’ottocento e le grida di terrore per l’arrivo del leggendario  “brigante” Pasquale Bruno, protagonista del bel romanzo di Alessandro Dumas del 1838. La Mostra così come il Castello sono visitabili dal Lunedì al Venerdi, dalle ore 9,00 alle 12,00, mentre di pomeriggio solo il mercoledì dalle 15,00 alle 17,00.  Chiuso sabato e domenica (ahimè!). Mentre per chi volesse approfondire la conoscenza del "Brigante generoso" di Bauso lo può fare in Teatro a Milazzo il 30 Aprile e il 2 Maggio.

    

 

 

 

 

 

 

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